28 dicembre 2012

Che giornata, orsetto Mone!

Si alza presto l'orsetto Mone,
fa la pipì e poi colazione,
si lava i denti e da fiero pirata
trova il tesoro su un'isola fatata.
In poco tempo cambia vestito,
pilota un aereo con un solo dito.
Poi va nello spazio in cinque minuti
a far capriole tra stelle e pianeti.
Mmm.... Sente col naso un buon odore
entra nel circo da domatore:
il leone feroce è molto affamato,
insieme rosicchiano del cioccolato.
Finita merenda si torna a giocare,
adesso è il turno di un tuffo nel mare.
Sul sottomarino, in mezzo agli scogli,
disegna balene su grandi fogli.
Poi l'orso fa pranzo e un poco di nanna,
sognando nuvole dolci di panna.
Quando si sveglia diventa un pompiere
che spegne gli incendi senza temere.
Ma... Ode una musica e si mette a danzare,
Mone è un ballerino davvero stellare!
Un altro spuntino di frutta fresca
poi con la canna l'orso va a pesca.
La sua barchetta si trasforma in moto
Vruum vruum!... «Mamma, mi fai una foto?»
Niiinooo niiinooo! Ambulanza e sirena:
Mone è dottore fino all'ora di cena.
Per digerire guarda un cartone animato,
accarezzando il gatto che ronfa beato.
Ecco, è notte, il letto lo aspetta,
l'orsetto saluta la sua cameretta.
«Domani ritorno con giochi speciali!»,
Mone spegne la luce e posa gli occhiali.

3 dicembre 2012

L'essenza della forza di gravità

Breve testo teatrale
Personaggi: protagonista, moglie, figlio (9 anni circa), figlia (7 anni circa)

Protagonista – C'era una volta un ragazzo...
Figlio – Eri tu, vero?
Protagonista – Ero io, sì, lo sai... Ora continuo, cercate di non interrompermi ogni minuto, però, altrimenti mi confondo.
Figlia – Dài, paparino, coraggio! Promettiamo di non ridere!
Protagonista (pensato) Sì, figurati! Promessa da marinai!
Ridete, ridete pure! Su, sedetevi sul divano, qui, accanto a me, e state ad ascoltare.
Questo ragazzo aveva vissuto in Sardegna per tutta la giovinezza. Era nato vicino al mare, e aveva visto la neve in città solo due volte, e soltanto in un'occasione ce n'era stata abbastanza per fare il pupazzo e tirare qualche palla.
Quando si trasferì a Torino per l'Università, di neve ne vide, eccome. Gli piaceva in particolare tuffarsi nei prati innevati in montagna e nuotarci, come se fosse nel suo mare, anche se l'impresa era decisamente più scomoda e faticosa. A dire il vero, spesso usciva dalla strana piscina bagnato fradicio, proprio come dopo una nuotata, perché la neve gli si intrufolava sotto le calze, lungo le braccia e il collo. Gli amici del nord, avvezzi a tutto quel bianco, lo osservavano scuotendo il capo e scattavano qualche foto in cui ora possiamo vederlo mentre si sbraccia nello stile libero o si accontenta di mimare, immobile, la posizione a dorso, mezzo sprofondato in un freddo alpino che nemmeno il nonno di Heidi si sognerebbe di sfidare.
Quell'anno la prima gita invernale fu ad un palazzetto del ghiaccio.
Lui accettò l'invito...
Figlio – Tu accettasti l'invito...
Protagonista – Come vuoi... Io accettai l'invito solo dopo molte insistenze. Avrei dovuto studiare tutto il giorno perché la settimana seguente mi attendeva il complicato esame di fisica, che avevo tentato già tre volte. E poi chi mai aveva visto un palaghiaccio?
Mi convinse solo la certezza che sarebbe stata della partita anche la ragazza che mi piaceva...
Figlia – La mamma, vero? Hai fatto bene, secondo me...
Protagonista – Se lo dici tu...
Ad ogni buon conto mi sono vestito per proteggermi dal freddo e sono partito.
Quando ho visto la nostra mèta dall'interno sono stato attraversato da un brivido che non aveva nulla a che vedere con la temperatura dell'ambiente.
Ghiaccio.
Ghiaccio ovunque.
E pattini.
Ripensai ai cartoni animati in cui la gelida superficie gelata dei laghi si rompe e gli animaletti finiscono a mollo... E se i pattini avessero tagliato la pista a fettine? Saremmo precipitati tutti in acqua, inesorabilmente!
Mi ripresi grazie a due idee tremendamente ingenue: in fondo sapevo nuotare e poi... era un'occasione come un'altra per stare con quella ragazza.
Così avvenne che misi i pattini ed entrai in pista.
Il cuore mi esplodeva nel petto: mi teneva per mano proprio lei! E mi sorrideva!
Si preoccupava per me, unicamente per me, attenta a non farmi perdere l'equilibrio.
(Entusiasta) Ehi, è più facile del previsto, sto in piedi! E mi sposto!
Era così vero che le feci cenno di lasciare la presa, ce l'avrei fatta da solo, poteva stare tranquilla. Non volevo mostrarmi pavido.
Si allontanò rapida, con semplice grazia, voltandosi ogni tanto come per invitarmi a seguirla.
(Incerto) Più tardi, tesoro, mi serve ancora un momentino...
Gli altri amici ogni tanto sbirciavano, ma tutto sembrava procedere bene. Vedevano che “il sardo” acquistava progressivamente fiducia, lasciando ben presto la presa dal corrimano.
Ecco, mi dirigevo ormai verso il centro, spavaldo, centimetro dopo centimetro.
Cinque minuti dopo, a due metri e mezzo dal bordo, caddi.
Cioè, non è che fu una caduta come tante, quando si atterra sul sedere, o si finisce carponi, reggendosi sulle mani. No... Ho fatto le cose per bene anche quella volta!
Quei simpaticoni dei miei amici si misero ad applaudire.
Io ero ancora coricato in avanti, stordito.
Non ero stato capace di frenare la caduta, forse non avevo neppure realizzato che stavo precipitando. Ero andato giù e basta.
Ma a poco a poco mi mossi, puntellandomi su mani e ginocchia. Sapevo che anche lei mi stava osservando, ce l'avrei fatta... e da solo!
Quando finalmente fui carponi e sollevai il viso per partecipare della loro allegria, in un attimo li vidi diventare più gelati del ghiaccio. I loro sorrisi si spensero all'istante.
(Allegro e dolorante) Non è nulla, il battesimo del ghiaccio! Smettetela di fissarmi e ripartiamo!
Senza dire una parola mi presero per mano, in due, uno per parte, mi aiutarono ad alzarmi del tutto e mi condussero verso l'uscita. Io non capivo, volevo continuare a pattinare. Le avevo promesso con gli occhi di raggiungerla al centro della pista!
Poi vidi il mio riflesso in un pannello lucido: avevo la faccia segnata da macchie scure di sangue secco. Un vero spettacolo!
Seguii docile il mio compagno di stanza al pronto soccorso. Vinsi cinque punti di sutura, ho ancora il segno della cicatrice.
Insomma, ormai lo sapete, la prima volta che provai a pattinare sul ghiaccio fu anche l'ultima.
Ma quella ragazza mi ha sposato lo stesso.
E' tutto. Andiamo a pranzare!
Figlio e figlia – Noooo! Hai dimenticato il finale!
Moglie – Hanno ragione, caro, manca la morale!
Protagonista – Allora è un complotto! E va bene, volete la morale? Eccola: quel giorno il ragazzo che veniva dal mare capì che nel ghiaccio, anche se è fatto di acqua, come il mare e come la neve, non ci si può proprio tuffare!

20 luglio 2012

Le bolle di Raja

L'aria è leggera, il sapone di più,
un lieve soffio e la bolla va su.
Quando le faccio do un nome a ciascuna
che l'accompagni fino alla luna.
Ad ogni bolla, poi, affido un messaggio:
Plop dice: “Ciao”, Poffa: “Coraggio!”.
Le mando a Sarah, che sta di là,
non l'ho mai vista, ma capiterà.
Lei, come me, sa far la magia,
col sapone che vola mi fa compagnia.
Piffy racconta i suoi sogni più belli,
Flippa mi descrive occhi e capelli,
Iattiti dà a Sarah un mio bacio sul naso,
la carezza di Boll sul mio viso non è un caso.
Intorno odore di ulivi, di terra, di fuoco,
nel cuore la voglia di fare un bel gioco.
 

L'aria è leggera, il sapone di più,
un lieve soffio e la bolla va su.
 

“Raja, è il gran giorno!” sussurra Blobbetta
Io so che vuol dire che Sarah mi aspetta.
La magia più grande è la più bella:
oggi, fino a sera, diventerò una bolla.
L'aria è leggera, io lo sono di più,
ormai la mia casa è un puntino, laggiù.
Lei è già lì, vestita di schiuma,
mi attende volando come una piuma.
“Che bella sei, Raja!”... “Sarah, anche tu!”.
Ci diamo la mano e voliamo più su.
Le bolle volteggiano in allegria,
noi bimbe-sapone ci facciam compagnia.
Vista dal cielo la terra non ha barriere
qui possiamo essere amiche sincere.
 

L'aria è leggera, il sapone di più,
un lieve soffio e la bolla va su.

La notte ovunque è uguale, si appoggia su tutto,
accarezza le bambine, ciascuna nel proprio letto.
I loro sogni stanotte sono leggeri e puliti,
l'acqua e il sapone non sono ancora finiti.

E' alto dieci metri il muro che le separa,
ma non riesce a dividere Raja e Sarah.

L'aria è leggera, il sapone di più,
un lieve soffio e la bolla va su
.

... Con la Palestina nel cuore

14 luglio 2012

Caramelle e cioccolata


Mio nonno, che in realtà è il nonno di mamma (a me il termine bisnonno non piace, sembra un biscotto molliccio), è vecchio vecchio, pieno di rughe, con la pelle così aderente e sottile che credo lo abbiano usato come modello per quei poster sui muri dei dottori, con il contorno dell'omino nudo e lo scheletro o le vene o gli organi interni ben evidenti e colorati. Di mio nonno si vedono solo le vene, per fortuna! Avranno usato altri bisnonni per gli altri disegni.
In testa ha ancora un bel cespuglio di erbetta fine fine e bianca bianca, che mi diverto a scompigliare ogni volta che passo dietro la sua sedia a rotelle. Lui mi sgrida per finta e poi ride.
Quando non dorme racconta. Parla e un po' tossisce, allora gli porto una caramellina di zucchero, di quelle piatte colorate. Lui mi fa l'occhiolino mentre comincia a succhiarla e la tosse passa all'istante. Secondo me lo fa apposta a tossire, è un golosaccio e basta. Ma non ha più denti, quindi non ha il guaio delle carie e può permettersi il vizio.
Dicevo che racconta. Racconta della guerra, perché ha 98 anni e si ricorda ancora di quando era soldato nella seconda guerra mondiale. Racconta di quando ha conosciuto mia nonna, pardon, bisnonna, che aveva tre anni, mentre lui, amico di un fratello di lei, undici. Racconta di quando sono nati i suoi nipoti, mamma in pole position. Ma se gli chiedo di quando sono nata io, non riesce a dire nulla. Si vede che a un certo punto le parole finiscono. Però sorride e mi accarezza col suo profumo di zucchero.
Tosse. Caramellina.
« Mi racconti una storia? », gli domando sempre alla fine dei ricordi.
Se ne rammenta una soltanto, anche se mamma mi ha detto che quando era piccola gliene raccontava tante. Però mi è andata bene perché è proprio graziosa: Patin e Patee che andava a nosee.
La prima volta non ho mica capito il titolo. Lui parla con accento veneto, e quindi non è facile arrivarci, per chi conosce solo l'italiano. Comunque vuol dire che questi due, Patin e Paté (lui, però, dice due “e” alla fine del nome), andavano a raccogliere noci.
Insomma, la mamma chiede loro di andare a raccogliere noci e i due fratelli prendono sacchi e carretto e vanno nel bosco. Patin comincia subito: prende le noci e le mette nel sacco, prende le noci e le mette nel sacco (il nonno lo dice almeno dodici volte di fila), mentre Patee si guarda intorno, si arrampica sugli alberi, si appisola, gioca con pigne e scoiattoli. Ogni tanto raccoglie qualche noce. Più spesso se le mangia. Quando è ora di rincasare Patin ha riempito cinque sacchi e Patee uno soltanto. Tirano il carretto fino a casa e la mamma chiede: “Patin, quanti sacchi hai riempito?”, “Cinque!”, “Bravo! Eccoti cinque cioccolate” (dice così, il nonno. Non cioccolatini, proprio cioccolate, e io immagino cinque tavolette Wonka). Poi: “Patee, quanti sacchi hai riempito?”, “Uno...”, “E allora ecco una cioccolata”.
Fine della storia.
Tosse. Caramellina.
Mio fratello Giuliano dice che è una storia educativa: se lavori tanto guadagni tanto. Patin ha ascoltato la mamma e ha conquistato cinque cioccolatini.
« Cioccolate, dice nonno, non cioccolatini », preciso io.
« E che importa? Sono sempre più di una », incalza lui.
« Già, ma vuoi mettere? ».
« ...? », adoro lasciare mio fratello senza parole.
« E poi, se le mangi tutte in una volta sai che nausea! Te lo ricordi con la torta del compleanno? ».
« Non capisci niente », sbotta mio fratello davanti alla verità.
« Lo scemo sei tu. Pensa a quanto si è divertito Patee, mentre l'altro raccattava noci senza sosta! ».
« Ma la storia vuole dire... », insiste Giuliano.
« Un corno! La storia dice che Patin si è ammazzato di fatica e passerà la notte col mal di pancia, mentre Patee si è divertito un sacco e si gusta una tavoletta triplogusto Wonka... Gnam! ».
Bacio il nonno, che mi guarda un po' confuso. Forse abbiamo parlato troppo in fretta e ha perso il filo del discorso.
La mamma, dalla cucina, ci chiama per la merenda. Ho giusto voglia di pane e...
Con i baffi di cioccolato mi sono affacciata alla porta.
« Mgnogno! », ho chiamato masticando.
« Sì? » ha sussurrato sull'orlo del sonno..
« Ma che se ne fa quella mamma di sei sacchi pieni di noci? ».
Tosse e caramellina.

Nota: un esperto filologo quasi-veneto precisa che "Patée in realtà si dovrebbe scrivere 'Patéle'. Non è una 'e' strascicata e raddoppiata, ma una 'ele' in cui non si pronuncia la 'l'". Ma la nostra protagonista, la padroncina della gatta del Bengala, non sa ancora leggere e scrivere, quindi...

28 giugno 2012

Come crostate di frutta

Quando sarò vecchia, se la salute me lo permetterà, recupererò i libri di fiabe che conservo da decenni, letti da me, dai miei figli e, chissà, dai miei nipoti, e andrò in un parco giochi.
Ci saranno ancora parchi come questo, spero.
Cercherò una panchina comoda, all'ombra o al sole a seconda della stagione. Porterò una vecchia coperta e la distenderò davanti a me. Poi suonerò un campanellino speciale, din din!, di quelli in terracotta, dal suono morbido, din din!, e attenderò qualche minuto, il tempo che bambini e bambine scendano dall'altalena o finiscano la torre di sabbia.
Quando si saranno finalmente avvicinati, curiosi, per vedere l'origine del trillo, pronuncerò una formula magica, sempre uguale, ma con intonazioni ogni volta diverse per non annoiarmi. Per esempio: “E' arrivato il tempo di salire sul tappeto magico! Venite!”, e li inviterò a sedersi con un gesto.
Senza aggiungere altro, comincerò a leggere.
Una storia al giorno. Due, se sono brevi. Un capitolo, invece, se sono lunghe. Queste ultime saranno a puntate, e bisognerà riassumere la parte già letta per chi non l'avesse sentita.
Leggerò fiabe antiche, immortali, ma anche quelle più recenti e pure quelle che oggi ancora non sono state scritte. Fiabe e racconti e brevi romanzi dove i bambini riescono a sconfiggere draghi di ogni genere. Come piace a me.
Il fruscio delle pagine sarà la nostra colonna sonora e la stagione del parco la nostra scenografia, il nostro profumo.
Chissà, magari qualche mamma, papà, nonna o nonno porterà una torta o dei biscotti, per la merenda. O anche solo delle caramelle. Io ne avrò alla menta, per inumidire la gola. Gli odori si mescoleranno e l'atmosfera sarà ancora più armoniosa.
Un quarto d'ora di magia per bambine e bambini che vorranno.
Un quarto d'ora di piacere per me, a dividere le storie più belle come se fossero crostate di frutta.
Sarà bello se, quando sarò senza fiato per il troppo leggere o per i troppi anni, qualche bambino o bambina si siederà sulla panchina, accanto a me, e mi racconterà una storia, offrendo a una nonnina sconosciuta una fetta di dolce magia.

21 maggio 2012

La principessa e il drago


Dice la principessa: « Sono stufa di aspettare. E poi, un principe, proprio non lo voglio! »
Risponde il drago: « Non me ne parlare! Giorno e notte a farti la guardia, solo, su questo scoglio! »
« Perché non ce la filiamo? »
« Io e te? Come facciamo? »
« Tu voli e io ti cavalco. »
« Ma... Dimmi, quanto pesi? »
« Meno di una mucca e più di un falco. »
« Salta su, allora! Motori accesi! »
E vissero felici e contenti in compagnia di nuvole, aquile e stelle cadenti.

In: Scuola Holden, "100 storie per quando è troppo tardi"
collana Save the  parents, ed. Feltrinelli, marzo 2012.

14 maggio 2012

Senza attendere una risposta




Si incrociano all'entrata del parco, lei per mano alla mamma, che trascina con passo lesto verso l'area dei giochi, lui seduto sulla panca del vialetto alberato.
L'uomo ha passato le sessanta primavere, la bambina sta vivendo la sua quinta estate.
Attorno a loro luce, ombra fresca, eco di voci lontane, profumo d'erba tagliata da poco e canti d'uccelli.
La ghiaia scricchiola sotto i piedi frementi della bimba, sovrastando il fruscio del foglio che lui, a testa china, stropiccia fra le mani.
Mamma e figlia spariscono in silenzio oltre la siepe e l'uomo rimane a fissare i ciottoli con le braccia abbandonate sulle cosce.
Lo ridestano dal torpore due sandali in movimento. Quando solleva il capo vede la bambina passargli davanti, diretta verso la fontanella. Corre, ma appena supera la sua panchina, inciampa in una radice sporgente e cade in avanti. È a pochi centimetri da lui, sulla destra, e trattiene visibilmente le lacrime osservando il graffio sulla gamba e il sangue che esce lento.
L'uomo stringe il foglio nella mano sinistra e stende il palmo aperto della destra verso la bambina.
« Ti sei fatta male? »
« No. »
« Ah. »
Con una smorfia di dolore e tristezza la bambina cambia risposta:
« Sì... »
« Vado a chiamare la tua mamma. »
« No, se no mi sgrida. »
« Perché ti sei fatta male? »
La bimba si volta verso la siepe, poi china il capo e parla sottovoce.
« Perché correvo. »
« Ma io non glielo dico. »
« No! »
« Come vuoi. Ti sei sbucciata... »
« Non sono una mela! »
Sorriso appena accennato di entrambi.
« Oh, scusa. Ti sei graffiata un ginocchio. »
« Sì. »
« Ecco, asciugati il sangue. »
La bimba cerca una posizione abbastanza comoda, prende con dita sabbiose il fazzoletto di carta che l'uomo le porge e si tampona la ferita. Poi asciuga naso e occhi con la maglietta, che si riga di marrone, e indica il viso del vecchio.
« Anche tu piangi, però. »
« Un moscerino... »
« Ah. »
« No, hai ragione tu. Piango. »
« Perché? »
« Sono vecchio. »
« I vecchi piangono? Come i bambini? »
« Più o meno. »
Si ode in lontananza una voce di donna. La bambina fa spallucce.
« Ti sei fatto male pure tu? »
« Più o meno. »
« Vuoi il fazzoletto per asciugare il sangue? »
« No, grazie, non serve. »
Di nuovo il richiamo, questa volta poco oltre la siepe. “Susanna!”, una mamma sta cercando la figlia.
« Mia nonna è vecchia ma non piange mai. »
« Come ti chiami? »
« Susanna. »
« Piacere. Io Giorgio. »
« Sì. Ciao! »
« Ciao! »
Susanna si rimette in piedi con agilità, ormai dimentica della ferita, corre fino al varco nella siepe, poi si immobilizza un istante, liscia la maglietta e supera le foglie camminando impettita.
Giorgio la osserva sparire, quindi respira profondamente e rilegge il foglio spiegazzato su cui sembra lampeggiare l'espressione “ricovero urgente”.
Si decide infine a ripiegare il documento, lo ripone nella tasca della giacca, distende le gambe e si abbandona contro lo schienale della panchina, perdendo lo sguardo tra i rami sopra di lui. Alcune rondini danzano nel vuoto mentre una falciatrice viene azionata poco lontano. L'odore di erba in breve tempo si fa più intenso.
Giunge l'ora in cui il parco si affolla di visitatori in cerca di fresco, di spazio, di giochi, di compagnia.
Giorgio si alza lentamente, sospira, passa pollice e indice sugli occhi umidi e si dirige al cancello.
« Ciao, Giorgio! ».
Sente cinguettare alle sue spalle. Si volta e vede Susanna accanto alla mamma, la quale borbotta un vano “lo conosci?”. La ferita è solo più una crosta rossa. La maglietta ora è anche chiazzata di verde.
« Ciao, Susanna. »
« A domani! »
Trilla lei superando la radice traditrice con un saltello, senza attendere una risposta.