16 aprile 2012

Palla al centro e via!


Avevo scartato tutti, mi trovavo nell'area di rigore, solo il portiere davanti a me. Il goal era certo, avrei vinto la partita. Il profumo di cioccolata della merenda, dalla cucina, mi dava la carica. Dovevo segnare a tutti i costi.
- Eh no, caro, anch'io voglio giocare!
A parlare era stata la PSP. Ho visto sparire i giocatori e pure la porta e il mio bel tiro.
Con un “pffff” alla consolle sono spuntate due gambe. Pffff, due braccia. Pffff, una testa dai connotati a quadretti (poca risoluzione per quelle dimensioni!).
- Andiamo!
Mi ha spinto dolcemente fino al cortile sotto casa.
C'erano anche gli altri, tutti con una PSP vivente e un pallone fra le mani.
Noi umani ci siamo guardati in silenzio e immobili per tre secondi. La proposta l'ha fatta Piero, col sorriso di chi la sa lunga, appoggiando il pallone a terra: - Visto che siamo quattro e quattro, facciamo bambini contro Play!
Nessuna obiezione. Palla al centro e via!
Abbiamo giocato con le Play fino all'ora di cena. Niente merenda, oggi, ma che spasso!
Domani, però, vogliamo la rivincita!

12 aprile 2012

La gatta del Bengala


Da grande voglio fare la veterinaria o la gelataia, infatti mi piacciono sia gli animali che i gelati.
Io, che ho cinque anni, non so ancora decidere tra i due mestieri, invece la mia gatta, che ha già otto mesi, ha le idee chiare sul suo futuro: vuole fare la tigre del Bengala.
Lo so perché è arancione, si arrampica sulle tende e morde ogni cosa, dal divano alle scarpe, dai fumetti alle biro, dai tovaglioli alle foglie delle piante. E soprattutto è una regina di agguati: entri in una stanza che ti pare vuota e silenziosa, poi di colpo qualcuno ti si avvinghia alla caviglia e ti pianta i denti nel polpaccio. Se ci fosse il premio per la belva più feroce del mondo lo vincerebbe Tuffola!
Già, il suo nome... L'ho chiamata così perché quando l'ho trovata sembrava un batuffolo di pelo. Glielo dovrò cambiare. Ve la immaginate una tigre spaventosa che si presenta alle vittime dei suoi artigli dicendo “Grrrrr! Ora ti sbrano, com'è vero che mi chiamo Tuffola!”. Nononono! Devo trovarle un nome più adatto. Magari Belva, o Feroce, oppure ancora Zanna.
In realtà, mio fratello Giuliano, che fa già la prima media e legge tantissimo, l'ha soprannominata Sandogat, ma non vuole spiegarmi il perché, dice che lo capirò quando imparerò a leggere.
Da oggi, comunque, la chiamerò Zanna.
Siccome non basta cambiarle il nome per renderla una tigre vera, ho chiesto a Giuliano di cercare “Tigre del Bengala” su Internet. Ho guardato le foto che sono apparse e ho capito che devo crearle un ambiente pieno di alberi, erba e acqua. E farle delle righe nere sulla pelliccia.
Mentre mamma e papà uscivano per fare la spesa sono corsa con loro in garage e mi son fatta dare la paletta e il secchiello che porto in spiaggia.
Sono andata nel giardino davanti a casa ed ho cominciato i lavori. Ho trascinato fuori alcuni vasi di piante, quelle con più foglie, per fare i cespugli. Ho raccolto anche alcune primule, i fiori preferiti da papà, e le ho sparse sul prato, per dare un po' di colore.
Ho spruzzato tutt'intorno l'intera boccetta di dopobarba, sperando che desse un odore più selvatico all'ambiente. Non era un granché pungente, ma io mi so accontentare di poco.
In giardino c'è un piccolo pino, ma non basta un albero solo per fare una foresta, così mi sono fatta aiutare da Giuliano a portar fuori le piante più grandi, come il Mioficus (mamma lo chiama così), quella della felicità, che mi pare pure un bell'augurio per il futuro di Tuffola, pardon, Zanna, e altre due o tre con un tronco abbastanza alto. Insomma, non è proprio come quella delle foto al computer, ma la jungla mi è uscita bene.
Purtroppo il baccano che produce il cantiere in fondo alla via non assomiglia affatto ai suoni naturali di animali e uccelli.
Mentre stavo pensando a come rimediare a questo inconveniente acustico, ho deciso di scavare un lungo fossato nella terra per farci un fiume, ma la paletta di plastica si è rotta subito. Ho adoperato allora la zappetta di mamma ed è stato facilissimo, anche se mi sono uscite delle bollicine sulle mani. Il solco è venuto profondo e sinuoso, un vero fiume tropicale.
Ho provato a riempirlo d'acqua usando il secchiello, ma nel tragitto dal bagno al giardino quella appena versata si asciugava subito. Allora ho preso il tubo per annaffiare e l'ho messo ad un lato dello scavo. Che bel fiume, quando ho aperto il rubinetto al massimo! Il suo scroscio, poi, copriva un po' i suoni del cantiere e rendeva tutto più vero. Due problemi risolti in una mossa!
Certa che in un simile scenario la mia gatta sarebbe diventata una tigre perfetta, sono corsa in casa.
Zanna dormiva beata sul divano.
Con un pennarello nero a punta grossa ho cominciato a tracciarle delle righe sulla pelliccia, ma si è svegliata subito e mi ha graffiata, facendo cadere il pennarello, di punta, sul cuscino ricamato dalla nonna. Quella macchia di inchiostro sulle roselline gialle non ci voleva proprio!
Appena sono riuscita ad afferrare Zanna per la collottola, l'ho tuffata nel fiume per inaugurare alla grande la sua nuova vita. Si è trasformata in tigre all'istante: è balzata fuori dall'acqua soffiando, e si è messa a saltare ovunque, strappando foglie e rami. Era euforica, uno spettacolo di felicità!
Si è infine rintanata dietro due vasi, sotto la siepe, col fiato corto. Si leccava il pelo spargendo il nero da tutte le parti. Avrei dovuto usare un pennarello indelebile.
In quella sono tornati i miei genitori, passando proprio dal cancelletto del cortile.
Papà ha spalancato la bocca e fatto cadere le borse della spesa, mamma si è appoggiata alla ringhiera ed ha ripetuto all'infinito “il Mioficus il Mioficus il Mioficus...”.
Sono contenta che abbiano apprezzato il mio lavoro.
Ora devo insegnare a Zanna come si ruggisce.